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Autore Messaggio
MessaggioInviato: lunedì 22 giugno 2009, 11:25 
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Iscritto il: mercoledì 8 febbraio 2006, 16:41
Messaggi: 23655
Discussione interessantissima :D
tuttavia mi pare che ci si stia allontanando dalla domanda iniziale: come cambia la mag "visibile" aumentando il diametro?
secondo me potrebbe essere interessante anche tentare di capire, a partire dai ragionamenti di xenomorfo, come si inserisce in essi il parametro "apertura" :D

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MessaggioInviato: mercoledì 24 giugno 2009, 11:03 
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Iscritto il: lunedì 11 settembre 2006, 8:35
Messaggi: 1337
Località: Codroipo (UD)
Tipo di Astrofilo: Visualista e Fotografo
Ciao Tuvok,

si può partire dal presupposto che una fonte luminosa emette fotoni in maniera costante. La luminosità superficiale è la misura della sorgente. Siccome il flusso è costante (assumiamo che lo sia... in reatà non è proprio così, ci sono diversi fattori perturbativi), sappiamo che una apertura più grande consente di perdere meno fotoni rispetto ad una apertura più piccola. Si fa qualche aggiustamento in base ai ragionamenti di xenomorfo e qualcosa di sensato dovrebbe venire fuori.

Riporto questo link, dove ci sono un po' di spunti interessanti sul tema: http://www.clarkvision.com/visastro/index.html. Peccato non ci siano anche il parametro luminosità del cielo.

Non capisco invece le obiezioni di ras. E' ovvio che ci sono molte differenze tra un occhio e l'altro, ma è altrettanto ovvio che bisogna fissare dei parametri di riferimento validi per una fetta di popolazione abbastanza ampia o per un certo tipo di popolazione. Si fissa insomma l'ambito di lavoro, le variabili indipendenti... operazione piuttosto comune in ambito scientifico :D. Poi è possibile aggiustare i risultati, con opportune trasformazioni, anche per chi è affetto da aberrazioni. Naturalmente si tratta di approssimazioni, ma a seconda dei casi si può essere più o meno vicini alla realtà. Nessuno dice che gli studi di Blackwell sono validi per il 100% della popolazione: un cieco non vede una mazza e gli studi di Blackwell non hanno senso in questi casi... ma da quando in qua si prende un cieco per uno studio sulla percezione dell'occhio? L'obiezione, insomma, non la comprendo, soprattutto se poi mi vai a sostenere il metodo della misurazione della magnitudine visuale limite a occhio nudo.

Mauro

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Mauro Narduzzi
Responsabile sezione Astronomia
www.skypoint.it


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MessaggioInviato: giovedì 25 giugno 2009, 15:08 
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Iscritto il: mercoledì 17 ottobre 2007, 11:38
Messaggi: 11259
ToolMayNARD ha scritto:
Ciao Tuvok,

si può partire dal presupposto che una fonte luminosa emette fotoni in maniera costante. La luminosità superficiale è la misura della sorgente. Siccome il flusso è costante (assumiamo che lo sia... in reatà non è proprio così, ci sono diversi fattori perturbativi), sappiamo che una apertura più grande consente di perdere meno fotoni rispetto ad una apertura più piccola. Si fa qualche aggiustamento in base ai ragionamenti di xenomorfo e qualcosa di sensato dovrebbe venire fuori.

Riporto questo link, dove ci sono un po' di spunti interessanti sul tema: http://www.clarkvision.com/visastro/index.html. Peccato non ci siano anche il parametro luminosità del cielo.

Non capisco invece le obiezioni di ras. E' ovvio che ci sono molte differenze tra un occhio e l'altro, ma è altrettanto ovvio che bisogna fissare dei parametri di riferimento validi per una fetta di popolazione abbastanza ampia o per un certo tipo di popolazione. Si fissa insomma l'ambito di lavoro, le variabili indipendenti... operazione piuttosto comune in ambito scientifico :D. Poi è possibile aggiustare i risultati, con opportune trasformazioni, anche per chi è affetto da aberrazioni. Naturalmente si tratta di approssimazioni, ma a seconda dei casi si può essere più o meno vicini alla realtà. Nessuno dice che gli studi di Blackwell sono validi per il 100% della popolazione: un cieco non vede una mazza e gli studi di Blackwell non hanno senso in questi casi... ma da quando in qua si prende un cieco per uno studio sulla percezione dell'occhio? L'obiezione, insomma, non la comprendo, soprattutto se poi mi vai a sostenere il metodo della misurazione della magnitudine visuale limite a occhio nudo.

Mauro


Certo perchè non parlo di metodologie ma era solo la constatazione di fatto che l'incertezza e la precisione dell'occhio e molto bassa e troppo variabile perchè basti SOLO dire la mag per secondo/quadrato di un certo oggetto esteso per capire se si vede o meno. A parità di valore l'occhio fa la differenza e non di poco!
Quindi come dire a uno che da un certo cielo dovrebbe vedere un certo oggetto perchè la sua mag superficiale media è giusta se poi il suo occhio non c'è lla fa lo stesso ad osservarla?

Inoltre ricodo che il valore che si da dell'oggetto è un valore media sulla sua superficie, quindi oggetti più condensati hanno maggiore probabilità di essere visti che quelli con la stessa mag per secondo quadrato ma piatti con una distribuzione uniforme (o quasi) della luminosità.
Immagina due galassie con stessi valori e diametro, solo che una è piatta (tipo M33 per capirci) e l'altra uan galassia con nucleo luminoso e braccia deboli. Comunque il valore puo essere uguale della mag/sec quadrato (ma una distribuzione sulla superficie diversa della luminosità) ma spiccare l'oggetto con il nucleo più condensato e quindi vedersi (al limite solo la parte centrale).

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http://www.ara.roma.it/


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MessaggioInviato: sabato 27 giugno 2009, 8:09 
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Iscritto il: lunedì 19 gennaio 2009, 21:32
Messaggi: 2874
Località: LV426/Acheron
Penso che prima di considerare che cosa succede al telescopio, sia forse il caso di capire meglio. Ho trovato, rovistando nei documenti che spiegano queste cose, una figura che è molto esplicativa (cliccare per vederla meglio).

Immaginiamo che il cerchio piccolo sia un oggetto deep sky e che il cerchio grande rappresenti la luminosità del cielo. Nella figura a sinistra il cielo e l'oggetto hanno la stessa intensità.
Quando l'oggetto è visto nel cielo la sua luce si sovrappone alla luce che il cielo avrebbe nello stesso punto (la luce dell'oggetto a dire il vero si attenua a causa della estinzione, ma facciamo che il cerchio piccolo tenga già conto della estinzione atmosferica).
L'oggetto è visto quindi di intensità pari alla somma della sua luce propria e di quella del cielo, su uno sfondo di intensità pari a quella del cielo. Nel caso della figura di sinistra l'oggetto diventa due volte più luminoso del cielo e questo produce un contrasto elevato (il 100%, cioè la sua luce più quella del cielo, rapportata alla luce del cielo).
Al centro il cielo è più luminoso e la luce dell'oggetto, che è sempre la stessa, rispetto a quella del cielo è una percentuale minore del caso precedente. L'oggetto è ancora ben visibile ma meno "staccato" dal cielo di prima.
A sinistra il cielo è molto più luminoso e l'oggetto è difficile da distinguere dal cielo, nonostante in assoluto sia ben più luminoso che nel caso di sinistra.
Indipendentemente dal fatto che nella figura di destra qualche persona potrebbe essere in grado di distinguerlo e qualche altra no, il fatto fondamentale è che la qualità della visione dipende dal contrasto. Con contrasto basso l'oggetto o non si vede, o si vede in maniera tutt'altro che soddisfacente.
L'unico modo per aumentare la qualità della visione è aumentare il contrasto cercando un cielo più buio.E questo vale per tutte le persone. L'allenamento e l'esperienza possono aiutare a riconoscere o meno l'oggetto nel caso della figura di destra, ma la qualità è sempre pessima. Ovviamente si può estendere il ragionamento a livello di particolari di un oggetto.

Prendo anche spunto per rigettare le argomentazioni di ras-algehu. La tesi che gli articoli abbiano 20 anni e siano quindi "obsoleti" non sta in piedi.
Intanto il lavoro originale di Blackwell non è uscito su Sky and Telescope ma su una seria rivista scientifica. Poi è stato sottoposto al vaglio degli scienziati del settore per mezzo secolo ed è diventato fondamento di altri sviluppi (basta cercare per esempio "contrast sensitivity function").
Più nello specifico, Blackwell ha fatto ben 450.000 singoli esperimenti di riconoscimento con diverso contrasto, illuminazione e dimensione apparente dei bersagli. In questi esperimenti ha coinvolto una ventina di diversi soggetti (alcuni anche con lievi difetti visivi) e ha stimato non solo la sensibilità media ma anche la distribuzione statistica, tanto è vero che riporta anche la probabilità di percezione e non solo la soglia. Blackwell quindi ci dice che le differenze fra persona e persona non sono tali da inficiare le sue conclusioni.

La tesi poi che i dati non sarebbero applicabili perché da persona a persona c'è una differenza di sensibilità di 2 magnitudini è inappropriata e non corretta.
- Non corretta perchè la variazione di magnitudine limite da perona a persona non è così grande (e spesso dipende da piccoli difetti visivi e/o da inattenzione). In un cielo discretamente buio non ho ancora trovato qualcuno che veda mv 7 mentre al tempo stesso qualcun altro arriva solo a 5. Tipicamente tutti vedono le stelline di 6.2-6.3, qualcuno quelle di 6.4-6.5 e pochi oltre. Se però si obbliga chi non vedeva le stelline a guardare meglio spesso le vede.
- Inappropriata perchè Blackwell parla di "sensibilità al contrasto" non di "sensibilità alla luce", che sono due grandezze diverse (un po' come dire che un camion non passa sotto al ponte perché è troppo "largo"). Quindi, se fosse, si dovrebbe considerare la variazione da persona a persona della sensibilità al contrasto, non della magnitudine limite. Ma questa cosa, appunto, Blackwell l'ha fatta e ha concluso che le curve medie e le varianze hanno senso.


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MessaggioInviato: domenica 28 giugno 2009, 10:10 
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davidem27 ha scritto:
[cut]
Intanto la formula "classica" per calcolare la magnitudine limite di uno strumento è
Cita:
mag. limite = 6.8 + 5*log(D)

Dove D è il diametro dello strumento in centimetri.
[cut]


La formula classica è "normalizzata" per dare come magnitudine limite "6" se si osserva ad occhio nudo: provate ad inserire uno strumento di diametro D = 0.7cm :-)
A parte tutto il discorso di xenomorfo, molto approfondito ed esaustivo, in primissima approssimazione, si potrebbe adattare la formula nel seguente modo:

Mag.limite= X + 0.8 + 5*log(D)

Dove "D" è sempre il diametro dello strumento a occhio nudo e "X" è la magnitudine limite visuale in quel momento.
In pratica ho scomposto il coefficente "6.8" in "X + 0.8".
Esempio:
-se sono sotto un cielo di magnitudine limite visuale "5", tutti i valori ottenuti con la formula saranno inferiori di una magnitudine rispetto al valore ottenuto con la formula originale (mi aspetto che quello che perdo a occhio nudo, lo perdo anche al telescopio, che altro non fa se non moltiplicare la luce raccolta dal mio occhio di un numero pari al rapporto tra la sua superficie e quella della mia pupilla)
-idem se sono sotto un cielo di magnitudine limite visuale "7", anche al telescopio vedrò una magnitudine in più.

Di certo questa formula porta tutti i limiti della sue formula originale, ma come indicazione di massima su soggetti puntiformi dovrebbe andare.
ciao
dan


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MessaggioInviato: domenica 28 giugno 2009, 11:33 
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Ottimo Wee.
Una domanda: come mai la scomposizione x + 0.8?
Nel senso...perchè 0.8?

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MessaggioInviato: domenica 28 giugno 2009, 18:35 
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Località: brianza
davidem27 ha scritto:
Ottimo Wee.
Una domanda: come mai la scomposizione x + 0.8?
Nel senso...perchè 0.8?


alùra,
storicamente la scala delle magnitudini nasce sulla base di 2 presupposti:
1) le stelle più deboli visibili sono di mag 6
2) le stelle più luminose sono di mag 1 e tra queste e quelle di mag 6 c'è un fattore di luminosità 100

quindi mi aspetto di avere una legge logaritmica (per il punto 2) che mi dia come magnitudine limite ad occhio nudo la sesta (punto 1), cioè mag 6 con una pupilla di diametro massimo (0.7cm)

Mettendo assieme le due condizioni ottengo la legge "6.8 +5*log(D)"

Lo 0.8 corrisponde (circa) a "-5*log(0.7)" dove 0.7 è il diametro della pupilla dilatata al max.

Cambiando il coefficiente fuori dal logaritmo ("6.8", oppure "X+0.8", chiamatelo come preferite) otteniamo una nuova legge che rispetta ancora il punto 2 (100x ogni 5 magnitudini), ma ha per magnitudine limite il valore che inseriamo al posto di X.
ciao
dan


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MessaggioInviato: domenica 28 giugno 2009, 22:19 
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Iscritto il: martedì 25 marzo 2008, 13:53
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Località: brianza
weega ha scritto:
davidem27 ha scritto:
Ottimo Wee.
Una domanda: come mai la scomposizione x + 0.8?
Nel senso...perchè 0.8?


alùra,
storicamente la scala delle magnitudini nasce sulla base di 2 presupposti:
1) le stelle più deboli visibili sono di mag 6
2) le stelle più luminose sono di mag 1 e tra queste e quelle di mag 6 c'è un fattore di luminosità 100

quindi mi aspetto di avere una legge logaritmica (per il punto 2) che mi dia come magnitudine limite ad occhio nudo la sesta (punto 1), cioè mag 6 con una pupilla di diametro massimo (0.7cm)

Mettendo assieme le due condizioni ottengo la legge "6.8 +5*log(D)"

Lo 0.8 corrisponde (circa) a "-5*log(0.7)" dove 0.7 è il diametro della pupilla dilatata al max.

Cambiando il coefficiente fuori dal logaritmo ("6.8", oppure "X+0.8", chiamatelo come preferite) otteniamo una nuova legge che rispetta ancora il punto 2 (100x ogni 5 magnitudini), ma ha per magnitudine limite AD OCCHIO NUDO il valore che inseriamo al posto di X.
ciao
dan


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