Intervengo anch'io in questa discussione perché da tempo mi sto interessando al problema del raffreddamento dei sensori delle fotocamere digitali. Avrei a riguardo dei suggerimenti da sottoporre alla vostra attenzione. La soluzione adottata dall'astrofilo americano, per quanto possa apparire funzionale, mi lascia parecchio perplesso, per vari motivi. Fondamentalmente non mi sembra opportuno raffreddare l'intera fotocamera, che ha una superficie di circa 300 cm², quando quello che realmente occorre raffreddare è solo un integrato di circa 3 cm². Ho pensato, quindi a delle possibili soluzioni alternative. Non avendo mai smontato integralmente una Canon non ho realmente idea di quanto spazio resta a disposizione per integrare un dispositivo di raffreddamento all'interno della fotocamera, tuttavia ho pensato a delle possibili soluzioni che prevedono un'occupazione estremamente ridotta (o nulla) di volume. Scartando a priori l'idea di inserire una cella peltier tra il display e il sensore CMOS, sia perché non c'è spazio sufficiente, sia perché occorrerebbe poi dissipare comunque il calore che si va a sottrarre, l'unica soluzione possibile, a mio avviso è sottrarre il calore dal sensore CMOS utilizzando un fluido termoconvettore. Una possibile soluzione sarebbe simile a quella adottata da alcuni smanettoni dell'overclocking delle CPU, ovvero far circolare un liquido (per le CPU normalmente si usa acqua, nel nostro caso forse converrebbe usare alcool etilico, o isopropilico, che in caso di perdite evaporerebbe subito) in una sottile scatoletta ermetica di rame (che può o meno contenere un "labirinto" a serpentina per aumentare la turbolenza del fluido e quindi la portata termica del sistema). Il fluido andrebbe fatto circolare con una pompa da acquario, e raffreddato in un punto conveniente solidale col telescopio, o con una cella Peltier, usando un altro scambiatore di calore di rame come quello appena descritto, oppure, senza usare celle Peltier, gettando e riprelevando il liquido da una borsa termica contenente una "carica fredda" (ghiaccio) in quantità sufficiente da mantenere per alcune ore la temperatura del liquido intorno a 0° C. Un'altra possibile soluzione che permetterebbe di risparmiare la pompa e quindi annullerebbe qualsiasi possibilità di vibrazione, sarebbe realizzare un "heat pipe" contenente un fluido che evapori intorno a 0° C, o comunque intorno alla temperatura a cui vogliamo far funzionare il sensore della fotocamera. Un buon candidato sarebbe il gas butano (il comune gas degli accendini), anche in virtù della facile reperibilità e del fatto che, a pressione atmosferica, bolle a -0,4° C, quindi aumentando leggermente la pressione dello "heat pipe" si può avere allo scambiatore di rame temperature di qualche grado sotto lo zero. Lo heat pipe andrebbe raffreddato al di sotto del punto di evaporazione del butano con uno dei sistemi già descritti, o borsa termica con ghiaccio di acqua salata, o cella peltier. In tal modo si creerebbe (descrivo brevemente il principio dello heat pipe) una circolazione continua di fluido tra il "condensatore" (la parte raffreddata dello heat pipe) e l'"evaporatore" (la parte da raffreddare, nel nostro caso il sensore della fotocamera). Il calore latente di evaporazione del butano è piuttosto elevato, pertanto basterebbe un flusso di 10 milligrammi al secondo di fluido per sottrarre circa 4 watt di calore dalla nostra fotocamera, in tal modo le dimensioni dello heat pipe possono essere estremamente ridotte, visto che stiamo parlando di pochi centimetri cubi di gas al secondo. L'"evaporatore", da immaginare come un largo tubo schiacciato, di spessore intorno al millimetro, realizzato in lamierino di ottone o rame da 1 o 2 decimi, andrebbe poi inserito al posto dello schermo metallico che sta sul retro del sensore delle Canon, e fungerebbe quindi anche da schermo elettromagnetico, opportunamente collegato alla massa elettrica del circuito, così come lo schermo originario, che verrà rimosso, e accoppiato termicamente al circuito stampato tramite un sottile foglio di gomma siliconica termoconduttiva.
Un'altra possibilità, invece, sarebbe soffiare aria fredda e secca direttamente sulla parte anteriore del sensore, dal lato in cui si innestano gli obbiettivi. Sorgono, però, innumerevoli dubbi sulla possibile efficacia di questo sistema, ne cito solo un paio. 1) La conducibilità termica del "wafer" costituito da vibratore antipolvere, filtro antialiasing, e finestra trasparente del CMOS, ed eventuale filtro IR o suo sostituto Baader, potrebbe essere tale da rendere scarsa l'efficienza del "raffreddamento frontale", visto che il chip è, dall'altro lato, riscaldato da tutto il dorso della fotocamera, e a tale superficie benissimo collegato sia elettricamente, che, quindi, anche termicamente, per via delle connessioni metalliche tra chip del sensore, piedini dell'integrato, e circuito stampato su cui è saldato. 2) La capacità termica dell'aria è dell'ordine di 1 J/g per Kelvin, ma un grammo d'aria è circa un litro, quindi per avere un raffreddamento sufficiente, o si abbassa drasticamente la temperatura dell'aria (con evidenti rischi di formazione di brina), o si aumenta la portata del flusso d'aria, cosa difficile da immaginare in uno spazio ristretto come l'"anticamera" di una Canon.
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