La strana coppia dei buchi neri
Già dal suo lancio, nel lontano luglio 1999, l’osservatorio per raggi X Chandra, insieme con i «colleghi»Hubble (il telescopio che «guarda» attraverso il visibile e il vicino infrarosso), Compton (tarato sui raggi gamma) e Spitzer (tarato invece sull’infrarosso), ha contribuito a ridisegnare l’Universo, individuando oggetti ed osservando fenomeni che talvolta hanno rivoluzionato conoscenze date ormai per assodate. Una delle più recenti scoperte di Chandra sono stati due buchi neri di natura stellare, la cui massa risulta essere notevolmente superiore a quanto finora previsto daimodelli che simulano le fasi finali delle stelle supergiganti.
La misurazione della massa di questi due oggetti collassati è stata possibile grazie al fatto che ambedue appartengono ad un sistema binario.Nel primo caso, il buco nero, noto come M33 X-7, orbita attorno ad una stella compagna, la cuimassa è pari a circa 70 volte quella del Sole e fa parte della galassia M33, distante da noi poco meno di 3 milioni di anni luce. E’ il buco nero di origine stellare più distante finora conosciuto.
Questo sistema binario è un’intensa sorgente di raggi X e la periodica scomparsa di questa emissione rilevata da Chandra, quando il buco nero che emette i raggi X dal suo disco di accrescimento viene occultato completamente dalla stella compagna, ha permesso di determinare il suo periodo orbitale attorno al baricentro del sistema (3,5 giorni) e, quindi, la suamassa, che è risultata pari a quasi 16 masse solari. Un valore enorme per un buco nero di tipo stellare.
Oggetti del genere, infatti, hanno origine quando una stella con massa pari ad alcune decine di volte quella del Sole alla fine del suo ciclo evolutivo collassa, esplodendo come supernova: è una fase in cui si verificano imponenti perdite di materiale, facendo sì che il buco nero finale raggiunga una massa il cui limite si pensava finora non potesse superare una decina dimasse solari: i modelli attuali che simulano l’evoluzione di stelle così massicce hanno molte difficoltà a produrre buchi neri con masse superiori a questo valore.
La distanza molto piccola che separa i due oggetti fa pensare che il sistema abbia attraversato in tempi relativamente recenti una violenta fase evolutiva, denominata «fase di inviluppo comune», in cui una stella alla fine dei suoi giorni espelle una grande quantità di materia, tale da avvolgere la compagna nei gas da essa emessi. Un sistema del genere, tipicamente, è soggetto ad un’enorme perdita di massa, a seguito della quale non dovrebbe permettere alla stella progenitrice di dare vita a un buco nero di circa 16 masse solari. In definitiva, la perdita di gas avrebbe dovuto aver luogo con un tasso 10 volte inferiore a quello previsto dalle teorie attuali.
In casi del genere i risultati possono essere due: l’orbita delle due stelle si restringe sempre più, fino a quando i due oggetti si fondono tra di loro, oppure il processo di fusione non si verifica e dopo l’esplosione come supernova di uno dei due oggetti, che porta alla formazione di un buco nero, quest’ultimo inizia a «risucchiare» materia dalla stella compagna, allungandone così la vita (più la massa di una stella è grande tanto più breve è la sua vita). Il caso di M33 X-7 sarebbe il secondo.
La stella da cui ha avuto origine M33 X-7 avrebbe dovuto avere una massa superiore a quella dell’attuale compagna per poter formare un buco nero prima di essa. Alla fine, comunque, anche quest’ultima terminerà il suo ciclo evolutivo come supernova, con il risultato finale di avere una coppia di buchi neri che orbitano attorno al comune centro di massa.
Ma le sorprese non sono finite qui. Chandra, poco tempo dopo, ha scoperto un secondo sistema binario analogo al precedente, dove la massa del buco nero risulta avere un valore ancora superiore, compreso tra 24 e 33 volte quello del Sole. La strana coppia è localizzata nella vicina galassia nana IC 10, che si trova da noi ad una distanza di circa 2,2 milioni di anni luce in direzione della costellazione di Cassiopea.
Queste recenti scoperte di Chandra obbligheranno quindi a rivedere i modelli che cercano di simulare le fasi evolutive finali delle stelle supermassicce. I buchi neri di origine stellare rappresentano, comunque, oggetti molto piccoli, se paragonati ai buchi neri supermassicci, il cui meccanismo di formazione è completamente diverso, che si pensa siano ospitati nei nuclei di molte galassie attive e la cui massa dovrebbe essere compresa tra i milioni e i miliardi di volte quella del nostro Sole.
Mario Di Martino
Astronomo presso l'osservatorio di Pino Torinese
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