Miyro ha scritto:
quelli che potrebbero sensibilizzare le nuove generazioni su queste problematiche, sono i primi a dire che non c'è niente da fare !! Non faccio nomi, solo nik

Tuvok, marcopie ecc.
Ho gli stessi problemi di Tuvok: non sono un'autorità in materia, non è il mio mestiere, non dispongo delle risorse necessarie a 'bucare' la coltre di ottundimento mediatico che viene massicciamente alimentata. Ti ho già spiegato che scrivere un libro non basta, bisogna far sì che venga letto. Ti regalo uno scritto di poco più di un anno fa che, se avrai pazienza di leggerlo, mi sembra 'in topic'.
L'originale si trova qui:
https://mammiferobipede.wordpress.com/2 ... i-anonimi/_______________________________________________
Ambientalisti Anonimi16 dicembre 2023
“Tutti pensano a cambiare il mondo, nessuno a cambiare se stesso”
(Lev Tolstoj)Nel mio personale ‘divenire grande’, processo iniziato verso la metà degli anni ‘70 ed attualmente in divenire, non ho tardato a realizzare che molte cose del mondo non mi andavano a genio. Odiavo le guerre, odiavo l’idea che si dovesse distruggere l’esistente semplicemente per fare spazio a ‘cose nuove’, come pure che molti miei simili si appassionassero a ‘cose inutili’. Questo faceva di me, se non un disadattato tout-court, quantomeno un personaggio col quale era relativamente difficile relazionarsi.
Crescendo ho iniziato a convogliare questo mio dissenso in azioni concrete, volte a ‘raddrizzare’ un’organizzazione collettiva che percepivo come profondamente insoddisfacente. Il tutto in forme molto ingenue e ‘soft’, dato che altrettanto ingenua era stata la mia formazione politica e culturale fino a quel momento. Cominciai a definirmi ‘ambientalista’, perché individuavo nell’ambiente naturale, nella sua tutela e nella necessità di trovare un equilibrio con esso, la priorità per partire a ‘sistemare’ i guasti sociali.
Questo percorso di attivismo mi ha portato in contatto con altre persone che condividevano la mia visione della realtà, finendo col modellare la mia intera rete sociale. Se fin qui vi sembra la descrizione della canzone “Quattro Amici al Bar” di Gino Paoli
[1] non vi sbagliate di molto. Poi gli anni sono passati, gli amici andati e venuti, è arrivato un matrimonio, è arrivata una famiglia. Il mondo è però rimasto com’era prima. Anzi, è peggiorato. A quel punto ho dovuto accettare, obtorto collo, l’idea che tutto il mio daffare era servito davvero a poco, se non a niente del tutto.
L’ostinazione mi era invece rimasta, ho quindi provato ad analizzare cosa fosse andato storto. È stato a quel punto che ho realizzato come nulla fosse realmente ‘andato storto’, semplicemente erano errati i presupposti da cui partivo. Era errata, in estrema sintesi, la convinzione che l’esistente tenda ad evolvere da una condizione inizialmente insoddisfacente ad una successiva più soddisfacente. O, se vogliamo, era errata l’idea stessa di ‘progresso’.
PercezioneLa prima questione riguarda la percezione collettiva di cosa sia da ritenersi ‘insoddisfacente’. Le società umane sono composte da un elevato numero di individui, ognuno/a con proprie aspettative e desideri. La realtà che viene ad emergere dalle interazioni reciproche di questa moltitudine di individui ne riflette i desiderata e le aspettative, compatibilmente con le disponibilità di risorse. Quindi il primo appunto va all’idea stessa che una qualsiasi condizione, arbitrariamente scelta, possa essere collettivamente percepita come ‘insoddisfacente’, perché risultato di un assestamento che ha finito col soddisfare al meglio le aspettative collettive.
O, per altri versi, potrà pure essere percepita complessivamente come ‘insoddisfacente’, ma per motivi diversi da persona a persona. Un esempio su tutti: la distribuzione della ricchezza. Per i gruppi sociali a basso reddito sarà ritenuta insoddisfacente, e da correggere (troppa disparità), mentre per i gruppi sociali ad alto reddito sarà ritenuta insoddisfacente per il motivo opposto (troppo livellamento). Una condizione stabile sarà raggiunta quando le due insoddisfazioni speculari troveranno un equilibrio.
ManipolazioneLa seconda questione riguarda le manipolazioni culturali alle quali siamo, collettivamente, sottoposti. La narrazione progressista afferma che le società evolvono da una condizione di minor prosperità ad una di maggior benessere collettivo, sulla spinta delle volontà individuali che si traducono in azione politica. Questo ‘meccanismo virtuoso’ (sempre limitatamente alla sfera umana) appare tuttavia facilmente corruttibile.
Stante che l’ammontare di ricchezza collettiva è un valore relativamente anelastico, la distribuzione di tale ricchezza dipende dalle scelte operate in sede politica. La politica, tuttavia, è a sua volta manipolabile, in via diretta ed indiretta. Diretta per mezzo di meccanismi corruttivi
[2], indiretta attraverso la manipolazione mediatica dell’opinione pubblica
[3], operata dai grandi sistemi comunicativi: televisioni, giornali, carta stampata, intrattenimento. Tutti questi sistemi rispondono agli input delle rispettive proprietà, e possono facilmente veicolare le visioni della società e i modelli interpretativi più congrui con gli interessi che li alimentano.
Capitale AmbientaleQuesto è un concetto che va introdotto ex-novo. Il ‘capitale ambientale’ è semplicemente il serbatoio di ricchezza dal quale l’umanità attinge per alimentare le proprie idee di ‘crescita’ e ‘benessere’. In estrema sintesi, ogni processo industriale inventato dalla preistoria ad oggi è finalizzato ad estrarre ricchezza dal ‘capitale ambientale’ per trasformarla in ‘benessere umano’, generando per contro un progressivo degrado della ricchezza ecosistemica complessiva.
L’agricoltura sottrae terre fertili alla vegetazione spontanea, inducendo una perdita di biodiversità ed un progressivo degrado dei suoli. L’allevamento aggiunge al processo fin qui descritto ulteriori livelli di inquinamento, consumo di acqua dolce ed alterazione delle faune microbiche. L’edilizia genera distruzione di terreni fertili, rilascio di sostanze tossiche ed inquinanti ed impermeabilizzazione dei suoli. Tutti questi processi vengono collettivamente rielaborati in termini di ‘progresso’ e ‘benessere’, perché osservati da una prospettiva totalmente antropocentrica.
Dissonanza CognitivaSostanzialmente quella che ci raccontiamo, da millenni a questa parte, è una favoletta in cui l’ingegno umano ‘migliora il mondo’, con sempre nuove invenzioni mirabolanti, massimizzando la felicità delle popolazioni. La realtà è che l’ingegno umano opera sistematicamente, da millenni, a danneggiare sempre più in profondità un ecosistema planetario complesso che si è ritrovato per le mani, onde soddisfare i propri capricci estemporanei ed alimentare fantasie di potenza.
Da una prospettiva ambientalista questo comporta non tanto la necessità di rivedere singoli punti e modi di azione, al fine di limitare i danni, ma piuttosto interamente riscrivere, partendo da zero, tutte le filosofie umane preesistenti, rielaborandole in una prospettiva eco-centrica, per poi farle metabolizzare da otto miliardi di individui convinti dell’esatto contrario. Non proprio una passeggiata.
Ambientalisti AnonimiFaccio ora un salto logico dai massimi sistemi all’esperienza personale. Dopo decenni di attivismo ambientale, principalmente legato al mondo del trasporto eco-sostenibile, recenti vicissitudini familiari e personali mi hanno motivato a fare più di un passo indietro. Su invito di un vecchio compagno di battaglie mi sono tuttavia ritrovato a partecipare ad una riunione di giovani attivisti ambientali, ritrovando a distanza di decenni lo stesso slancio ideale della mia gioventù, ma in un contesto complessivo molto più degradato.
Inevitabilmente mi sono rivisto in loro, ho provato empatia per le loro sofferenze, ma non ho potuto offrire loro il conforto di una prospettiva ottimista. La critica all’umanità intera, da me maturata nel corso dei decenni, è ormai talmente radicale da non trovare spazi in un’architettura interpretativa ancora legata ad idee come il ‘benessere umano’ o il ‘progresso’. Ho provato a starmene zitto e buono, al solito non riuscendoci, ed ottenendo solo di produrre reazioni infastidite.
La sensazione più netta è stata quella di partecipare ad una riunione del tutto analoga a quelle degli Alcolisti Anonimi
[4] che si vedono in televisione, nelle fiction anglofone. Un cerchio di persone in cui ognuno pronuncia il proprio nome, saluta gli altri e quindi racconta un pezzettino della propria esperienza di vita, per condividerlo con persone che vivono la stessa condizione di sofferenza, e trovare in ciò un po’ di sollievo.
Inevitabilmente mi è sovvenuta la c.d. ‘Preghiera della serenità’
[5], che viene pronunciata nelle riunioni degli Alcolisti Anonimi, e l’ho trovata perfettamente calzante:
«Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che posso,
e la saggezza per riconoscere la differenza»Si tratta, indubbiamente, di un processo di elaborazione del lutto. Il lutto della perdita dell’ingenuità, dell’ottimismo, della leggerezza… se vogliamo perfino del Futuro. Ho già affrontato in passato la questione dei bias cognitivi e culturali, evidenziandone la funzione rassicurante. Il ‘progresso’ e l’idea di ‘futuro’ sono due dei più potenti bias culturali emersi nel corso della storia umana, ed hanno finito col radicarsi a tal punto nel sentire collettivo da essere completamente scomparsi dall’orizzonte percettivo.
Per una questione meramente anagrafica, la mia capacità di elaborare il lutto per la perdita del futuro è significativamente maggiore di quella dei ventenni/trentenni. Tuttavia vedo anche la loro necessità di ‘lanciare il cuore oltre l’ostacolo’ come una forma di autodifesa da una realtà sostanzialmente inaccettabile. Certe prospettive sono oggettivamente insostenibili.
Orribile come deve essere stato il risveglio del popolo tedesco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nello scoprire di essere stati i macellai di popoli inermi, additati da tutto il consesso internazionale, così per i giovani ambientalisti odierni risulta inaccettabile l’idea di un homo sapiens ‘distruttore sistematico di biodiversità’. Una creatura pronta a costruirsi giustificazioni e stampelle culturali pur di continuare a soddisfare la propria ingordigia a spese di tutto ciò che trova a portata di mano.
Video ->
https://youtu.be/WfGMYdalClUL’unica possibile soluzione, a meno di votarsi al martirio per una causa impossibile a vincersi, è l’elaborazione del lutto. E rileggere la frase di Tolstoij, messa all’inizio di questo post, in una chiave diversa. Solitamente l’ho interpretata come una critica a chi non fosse in grado di cambiare, non solo il mondo, ma le proprie stese abitudini. Una sintesi del tipo: ‘se ognuno/a fosse capace di cambiare i propri comportamenti, non sarebbe necessario cambiare il mondo’. Ora la reinterpreto in chiave diversa.
Stabilito che il mondo non si può cambiare, individualmente e/o dal basso, semplicemente perché perfino i cambiamenti immaginati dalle frange ambientaliste più radicali sono al più ‘pannicelli caldi’, ininfluenti sul lungo termine, non resta altro da fare che ‘cambiare se stessi’ in modo da non voler più ‘cambiare il mondo’. Quindi rassegnarsi, elaborare il lutto, farci pace ed andare avanti.
Siamo una specie di
‘macellatori di ecosistemi’, e non da oggi, dalla notte dei tempi. Non siamo mai stati altro. Tutto quello che ci siamo raccontati, per millenni, sull’importanza del genere umano, sulla nostra lotta contro una
‘natura ostile’, sui nostri
‘successi’ e sulla nostra
‘grandezza’ sono balle. Ce le siamo fabbricate, raccontate, ci sono piaciute e ci abbiamo creduto. Purtroppo la realtà è un’altra.