Tempo fa Angelo
aveva segnalato la mostra dedicata a Marte allestita presso il
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo a Vinci di Milano (
link), e in occasione di una visita al museo con la famiglia mi sono deciso anch'io ad andare a vederla. Il museo lo conosco ormai fino alla nausea ma da una quindicina d'anni è risorto a nuova vita dopo un lungo periodo di decadenza, e ci torno sempre volentieri.
Si può accedere alla mostra pagando l’ingresso al museo senza sovrapprezzo, il che è un bene perché non è che ci sia poi molto da vedere, diciamo che è anzi un po’ scarna e si poteva fare senz'altro di più. Per chi è interessato alla storia degli studi marziani ci sono ad esempio alcuni taccuini originali di Schiaparelli - che ho avuto il privilegio di sfogliare quando lavorai al catalogo delle sue osservazioni – qualche pannello esplicativo, un raccolta delle sue memorie su Marte e la solita onnipresente copertina di Beltrame dalla Domenica del Corriere (potevano almeno esporre un fascicolo originale, si trovano per quattro soldi su ebay...) e il grande rifrattore Merz-Repsold, di cui dirò. Francamente, si poteva fare di più. Ad esempio partendo dai disegni di Huygens per arrivare ai disegni e alle fotografie del XX secolo e dare modo al visitatore di seguire l'evoluzione degli studi telescopici marziani, ma insomma non è stato fatto.
Sono poi presenti molti pannelli con immagini riprese dalle sonde (immagini che si trovano anche sul web) e dai robot, video, esperienze di realtà virtuale e modelli delle sonde e dei rover europei, però in uno spazio tutto sommato ridotto. Belle le locandine dei film in tema marziano e buona l'idea di mettere in mostra anche un po' di romanzi.
Nella sezione del museo dedicata allo spazio è ospitato il
rifrattore Merz-Repsold da 49 cm di diametro che fu acquistato dal governo del Regno per dotare l’osservatorio di Brera di uno strumento più potente del vecchio Merz da 21 cm con cui Schiaparelli iniziò i propri studi marziani. Il telescopio entrò in servizio nel 1886.
La storia di questo rifrattore – piuttosto travagliata, costellata di incidenti, pesanti modifiche e vergognosi abbandoni prima del recente recupero – si trova in rete a questi indirizzi
http://www.brera.mi.astro.it/~carpino/approfondimenti/Merz_Brera.pdfhttp://www.media.inaf.it/2017/09/12/merz-repsold-schiaparelli/http://www.museoscienza.org/visitare/merz-repsold/(il primo link è il più esauriente) e sarebbe bene leggersela prima di vedere lo strumento.
Il 49 cm è un capolavoro dell’ingegneria meccanica del tardo XIX secolo, un'epoca in cui il moto orario elettrico non era ancora in auge e quindi bisognava muovere i pesanti telescopi professionali soltanto per mezzo di meccanismi. Il sostegno e la montatura vennero forniti dalle officine Repsold di Amburgo perché nessuna azienda italiana risultò in grado di poterli realizzare. Stesso discorso per l'ottica, si dovette affidare il lavoro a Merz dopo la rinuncia di Salmoiraghi (la Filotecnica costruì invece l'altro equatoriale, più piccolo, che si vede nella stessa sala). Purtroppo l’obiettivo originale è risultato irrecuperabile in seguito a una caduta e lo strumento esposto comprende perciò solo le parti meccaniche.
Riporto nel seguito alcune foto con qualche riga di commento nel caso a qualcuno interessi visitare l'esposizione e avere qualche informazione in più rispetto a quelle che si trovano in loco (cliccare una o due volte sulle immagini). Le foto sono fatte col cellulare, dal vivo è un'altra cosa e consiglio senz'altro anche ai non milanesi di fare un viaggio per godersi questa meraviglia. Peccato che non vi sia a disposizione una scala per salire fino al livello della montatura per poterla osservare da vicino.
Questa qui sotto è una vista d'insieme del Merz-Repsold: con tutto lo spazio che il museo ha all'esterno, dove gli si poteva costruire un piccolo padiglione ad hoc, sono andati a cacciarlo lì dentro

. Nonostante ciò fa ancora la sua figura, soprattutto così restaurato. La colonna - alta 4 metri e larga alla base 60 cm - e il basamento sono originali, anni fa li vidi a Merate, buttati per terra e piuttosto malconci. Il tubo, completo di pararugiada, è in acciaio laminato diviso in numerose sezioni a loro volta suddivise in tre gruppi, anteriore, centrale (dove il tubo si unisce alla montatura) e posteriore, unite da due grosse flange. Schiaparelli era preoccupato che con tutte quelle giunzioni il tubo potesse flettere, fece perciò una serie di misure molto delicate al termine delle quali concluse che nessuna flessione era rilevabile.
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Questa è la montatura equatoriale:
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L'asse polare è inguainato in un cilindro che poggia, trattenuto da contrappesi, su un piano inclinato di 45°28'. Sull'asse orario si possono vedere due cerchi; il più grande ha un metro di diametro e riceveva il movimento dal meccanismo per il moto parallattico tramite una vite senza fine, esattamente come in molte montature attuali; l'altro è di 50 cm di diametro, solidale con una ruota dentata serviva soprattutto a muovere il telescopio manualmente in AR tramite un meccanismo azionato dall'astronomo stando alla base della colonna. Piccoli aggiustamenti si potevano effettuare anche dall'oculare tramite appositi comandi meccanici. Secondo Schiaparelli tutto l'insieme era perfettamente bilanciato e gli attriti ridotti a un livello tale che il tubo ottico si poteva muovere senza sforzo con una sola mano. I cerchi graduati permettevano di puntare gli oggetti in base alle coordinate equatoriali con una precisione di pochi secondi d'arco.
Qui si vedono il cercatore in ottone, di 10 cm di diametro, con quel curioso tappo frontale azionato da una cordicella, e a sinistra si vede una lampada "multifunzione": serviva a illuminare il crocifilo del cercatore, il crocifilo del micrometro filare e, tramite un sistema di prismi e specchi, illuminava anche gli indici che servivano a leggere AR e Declinazione sui cerchi orari. Con il cercatore Schiaparelli fece disegni bellissimi di comete e nebulose, che allora da Milano si vedevano ancora bene.
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Questa è la parte posteriore del tubo, mancante del blocco fuocheggiatore-oculare:
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Quei due tubi ottici in ottone che si vedono paralleli al tubo principale sulla destra sono due telescopi che servivano a leggere, tramite specchietti, i valori delle coordinate celesti sui cerchi graduati, altrimenti troppo lontani dall'astronomo.
Il meccanismo di inseguimento era ingegnoso ma complesso, e qui si vede solo una piccola parte degli ingranaggi che servivano a regolare il moto siderale:
Allegato:
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Questi "rotismi", come li chiama Schiaparelli, trasmettono il moto all'albero posto dentro la colonna il quale poi fa muovere la vite senza fine che ingrana sul cerchio orario più grande. Il telescopio veniva messo in movimento da un contrappeso di 150 kg (variabili a piacimento secondo la stagione, in inverno ci voleva un peso un po' superiore) che stava addirittura fuori dalla cupola ed era collegato alla montatura tramite cavi e pulegge che passavano sotto il pavimento e all'interno della colonna di sostegno. Il peso, cadendo, metteva in vibrazione un'asta d'acciaio verticale la cui estremità superiore era collegata a una guida rotante a sua volta connessa al meccanismo mostrato in fotografia. Quando il lavoro meccanico necessario a mantenere costante l'ampiezza delle vibrazioni dell'asta uguagliava quello prodotto dal peso in caduta, la velocità del moto diventava costante. Il sistema funzionava bene, tanto da permettere di inseguire a più di 1000x, ma era anche molto rumoroso.
In definitiva un bellissimo strumento che merita senz'altro una visita.