Ivaldo Cervini ha scritto:
Mi sembra un dialogo tra sordi. L'esposizione di Ghiso è senz'altro ottima e l'ho compresa. Non sono tra i fortunati possessori del volume a cui ti riferisci quindi ne avrei apprezzato una sintesi di un paio di righe, ma tant'è. Ad ogni modo quello che mi lascia perplesso è che si continua a parlare di sorgente di luce puntiforme che casca in un unica cella del CCD. Ora questo a me non è mai successo, con nessuno strumento ottico io abbia mai avuto a disposizione. Di più, mi permetto di dubitare che sia successo ad altri astrofili: se succedesse a Renzo ad esempio, le sue stelle dovrebbero essere tutte rosse, o verdi o blù in quanto lui usa un sensore a colori e ogni singola cella del suo CMOS è sormontata da un filtro colorato. Se la luce delle stelle proiettata sul sensore fosse puntiforme allora potrebbe statisticamente cadere nello spazio cieco tra una cella e l'altra (in molti CCD amatoriali le aree cieche del CCD sono più grandi di quelle sensibili) e quindi una buona parte delle stelle dovrebbe sparire. Se una stella illuminasse anche solo 4 celle di un CCD allora la sua luce sarebbe nient'affatto puntiforme e, raddoppiando la lunghezza focale, arriverebbe ad illuminarne 4x4=16 con conseguente dispersione su più celle del flusso fotonico (e non considero le zone cieche del CCD). In sostanza allo stato mi pare che le possibilità siano due: o davvero non capisco più nulla oppure chi parla di cosa accade durante le riprese di oggetti puntiformi parla di una teoria che non è applicabile alla pratica, nella pratica le stelle non colpiscono una sola cella dei CCD e quindi sono anch'esse oggetti diffusi e come tali si comportano.
Resto sempre in attesa di chiarimenti.
Edit: Ho letto solo ora quanto ha scritto Tuvok. Per quanto mi riguarda avevo capito anche prima, solo che secondo me io e lui diciamo la stessa cosa. Chi vorrei che mi spiegasse è chi dice che conta solo il diametro e non la lunghezza focale per la determinazione del tempo di posa.
da "L'astronomo dilettante", di Paolo Andrenelli:
"La quantità di luce raccoltadall'obbiettivo è proporzionale all'area dell'obiettivo stesso, il che significa che, qualunque sia la lunghezza focale, a parità di apertura e a parità di tempo di posa, una stella (puntiforme) determinerà un identico annerimento della lastra.
Le dimensioni dell'immagine focale di un corpo esteso (nebulose, comete, pianeti...) sono proporzionali ad F^2 (F al quadrato): ciò significa che aumentando l'estensione dell'immaginene diminuisce proporzionalmente l'intensità.
Immaginiamo, ad esempio, di fotografare una nebulosa planetaria con una stellina centrale servendoci di un obbiettivo di 15cm d'apertura e 60cm di lunghezza focale (f/4); ripetiamo poi la fotografia con la stessa durata di tempo di posa servendoci di un obbiettivo di 45cm di apertura e di 6 metri di distanza focale (f/13). Poiché la stellina centrale è puntiforme, la sua intensità sarà proporzionale all'area dell'obiettivo e quindi nella seconda fotografia essa apparirà 9 volte più luminosa.
Al contrario, poiché la chiarezza dell'immagine focale della nebulosa è inversamente proporzionale al quadrato di f/ nella seconda fotografia essa apparirà ridotta nel rapporto 16/169, sarà cioè 10 volte meno luminosa.
In conclusione, benchè si tratti sempre dello stesso corpo celestenella prima fotografia noi vedremouna debole stellina contornata da una nebulosa ben luminosa, mentre nella seconda fotografia vedremo una stella luminosa contornata da una nebulosità assai debole."
Ivaldo, quando si dice "sorgente puntiforme" non significa certo che debba cadere su un solo pixel, ovviamente; può anche formare un dischetto del diametro di 5 pixel; certo è che, raddoppiando la focale, di sicuro non raddoppia il diametro del dischetto stellare, tutto qui. Personalmente l'ho sperimentato con lo strumento di guida: sono passato da un 80/400 ad un 80/1000, sempre con la dmk. Direi che con l'80/1000 le stelle sono forse un po' più piccole a causa della maggior correzione del telescopio.
Eros.