In risposta al quesito di StarEnd, dopo la questione sulle origini dell'uomo, vi riporto le disquisizioni scaricate dalla stessa fonte, riguardo all'intelligenza.
L’intelligenza: accorgersi delle cose
Nel capitolo precedente ho affrontato la questione sulla nostra origine: chi siamo e da dove veniamo (almeno noi come specie, non la vita in generale). Nel ragionamento ho spiegato la differenza tra noi e gli esseri viventi come dovuta solo all’ambizione e all’invidia. Ovviamente a molti lettori sarà venuto in mente anche il concetto d’intelligenza: dato che era un concetto molto più complicato e profondo ho preferito trattarlo a parte, in questo capitolo.
Non è mia intenzione tentare di spiegare da quando e perché possediamo l’intelligenza, né il legame che c’è tra questa e l’autocoscienza, anche se sono convinto che ci definiamo intelligenti solo perché siamo autocoscienti (ovvio! si tratta infatti di una definizione data a noi stessi). Attenzione: non è detto che valga anche l’inverso.
Qui intendo affrontare solo il problema di definirla, cosa di per sé molto ardua comunque e indicare come, secondo questa definizione essa non sia presente nelle altre creature terrestri.
La difficoltà sta nel fatto che non è una quantità misurabile: tutti i test esistenti attualmente sono sbagliati. Possiedono infatti un forte errore sistematico: la concentrazione. Che il test sia a sorpresa o meno, che il soggetto ne sia a conoscenza o meno, in ogni caso la misura tiene conto anche della concentrazione che quell’individuo aveva al momento del test. Il fatto è che la concentrazione è una quantità variabile da momento a momento, da persona a persona. E’ astratta, quindi non può essere spiegata in maniera rigorosa, quindi non può essere calibrata su un dato valore. Risultato: ogni test misura l’intelligenza più una quantità variabile in modo imprevedibile. Segue il pessimo risultato.
Una definizione di cosa sia la concentrazione verrà data nel prossimo capitolo ma non può essere usata in questo ambito per poterla calibrare.
Forse, il fascino dell’intelligenza in fondo risiede anche nel fatto che ci ha accompagnato da sempre, ci è sempre stata di fianco e nonostante questo è sempre sfuggita alla nostra comprensione.
Premetto che personalmente ho cambiato idea più volte in merito, forse per un non corretta interpretazione del Buon Senso Comune o più semplicemente per diverse questioni legate alle mie soggettive esperienze.
Definisco ora l’ “ Intelligenza ” nel seguente modo: “ L’intelligenza è l’accorgersi delle cose ”.
Per iniziare a spiegarla porto un esempio.
Molti anni fa feci il seguente esperimento: misi un gatto molto giovane davanti ad uno specchio quando ancora non ne aveva mai visto uno e lo osservai.
Il gatto: come vide la sua immagine riflessa drizzò il pelo sulla schiena e si spaventò. Non so dire con certezza se lui comprese realmente cosa rappresentava quell’immagine (notate che è per questo che ho preferito evitare il discorso sull’autocoscienza), quello che posso dire con certezza è che quando comprese che quell’immagine non poteva essere di alcun pericolo per lui, il gatto perse subito interesse per quell’immagine. Essa passo in secondo piano per lui. Non era un pericolo, non poteva mangiarla e non poteva nemmeno giocarci.
Conclusione: il gatto ha visto la (sua) immagine ma non si è accorto di una cosa, non si è accorto dello specchio!
L’uomo: se si prende un uomo che non ha mai visto uno specchio (prendete un bambino piccolo), all’inizio è possibile che abbia le stesse identiche reazioni del gatto. Esse infatti sono dettate dall’istinto alla sopravvivenza che fa temere ciò che non si conosce ed è comune a tutti gli esseri viventi. In seguito, però, quell’immagine non perde interesse per l’uomo. Quell’immagine, forse anche grazie all’autocoscienza che ci fa realmente comprendere di chi è quell’immagine (questo è un punto debole del ragionamento per via della mancanza di una definizione di “Autocoscienza”), può venire usata per truccarsi, sistemare corpo e abiti, e cose simili.
Conclusione: l’uomo ha visto la sua immagine e si è accorto della presenza dello specchio.
Secondo questa definizione l’intelligenza è cioè la capacità che noi abbiamo di vedere in un oggetto la sua utilità, di leggere tra le righe di un oggetto, di notare le cose che altri danno per scontate.
Faccio altri esempi: un sasso cade al suolo. Perché cade al suolo? Te lo saresti mai chiesto se nessuno te lo avesse spiegato prima? E’ sempre successo che un sasso sollevato cada al suolo, è talmente naturale come cosa, talmente scontata da sembrare quasi un assioma della natura. Se almeno una volta non fosse caduto allora verrebbe più facile chiedersi perché cade, e forse lo farebbero anche altri esseri viventi, ma di fatto non è così. Nelle esperienza comune un sasso cade sempre al suolo.
A questo proposito ne approfitto per farvi notare la seguente mia riflessione:
“ E’ sempre più facile accorgersi di una cosa che varia piuttosto di una cosa che resta costante. ”.
Ad esempio considerate questo discorso in relazione al movimento e applicatelo poi ad un camaleonte.
Per secoli i sassi sono caduti al suolo senza che nessuno si accorgesse che cadevano. Poi arriva Newton e per la prima volta se ne accorge. Vide prima il senso di quel fenomeno (intuizione scientifica) e in seguito l’utilità del fenomeno stesso (intuizione tecnologica). Entrambe legate necessariamente all’intelligenza.
Servono in genere moltissime generazioni prima che qualcuno si accorga dell’esistenza di qualcosa e molte altre perché qualcuno ci creda a tal punto da decidere di investirci tempo e risorse per studiarla e tramandarla ai posteri.
Facendo un caso limite potrei anche affermare che un agricoltore vissuto tremila anni fa si rese conto all’improvviso che lo spazio e il tempo fossero relativi: il discorso infatti è identico a quello dello specchio o del sasso, si tratta di non dare per scontate delle cose, accorgersi che ci sono. Se non lo capite e reputate questa affermazione troppo forzata è perché siete stati allenati da questa civiltà a ragionare spesso su un certo numero di fenomeni mentre altri sono ancora privilegio di un ristretto numero di persone: in altre parole state commettendo lo sbaglio di usare il buon senso perturbato. Di lasciare che la vostra società guidi e manovri il vostro pensiero.
Per spiegarvelo meglio ne approfitto quindi per darvi un esempio di corretto utilizzo del Buon Senso Comune: provate a immaginarvi, grazie a quello che avete studiato, un possibile confronto tra il buon senso nostro, odierno, e quello che poteva avere una persona comune nel Medio Evo. Pensate ora alla gravità; attualmente essa è nota a tutti, la relatività ristretta no: nel Medio Evo avrebbero storto il naso al discorso del sasso esattamente come voi ora lo state storcendo per il discorso dello spazio-tempo. La gravità, che a voi appare ormai ovvia e facilmente visibile nel fenomeno del sasso che cade a terra, era un concetto totalmente diverso per l’uomo comune di mille anni fa: egli probabilmente non sarebbe riuscito a riconoscerla nel sasso che cade, e se gliela avessero spiegata avrebbe potuta vederla a fatica. Esattamente come voi ora riconoscereste a fatica i fenomeni relativistici se qualcuno ve li spiega per la prima volta.
Fare il precedente discorso è quello che io chiamo applicare il Buon Senso Comune (per la verità non ottimale in quanto frutto del considerare due sole società diverse invece di un numero molto elevato come sarebbe giusto).
Quell’agricoltore infatti aveva già di suo tutti gli elementi necessari per capirlo (lui come anche voi): semplicemente applicò il concetto di tempo e di spazio come li conosceva lui al concetto che se lui li vedeva in un modo non era detto che tutti li vedessero come li vedeva lui. In altre parole, se lui vedeva un albero alto cinque metri, questo non implicava che l’agricoltore del campo affianco vedesse lo stesso albero alto sempre cinque metri. Farlo significa dare per scontato un qualcosa: se nell’esperienza comune noi vediamo allo stesso modo tutte le cose questo non implica che il discorso valga per tutti. Magari vale per miliardi e miliardi di esseri ma questo non dimostra la valenza universale.
Faccio notare inoltre che questa considerazione può essere fatta pur non sapendo dare una definizione di tempo e di spazio (cosa effettivamente non affatto semplice): infatti ciò che conta è solo la differenza relativa tra due diverse visioni della stessa cosa (spazio o tempo), cosa sempre possibile anche senza conoscere a fondo quella cosa.
Poi d’altro canto è molto probabile che, come ho detto prima, quell’agricoltore comprese come quella riflessione non gli avrebbe procurato più cibo di quanto non avrebbe fatto la terra che stava lavorando, e quindi preferì abbandonare quelle riflessioni perché giudicate inutili.
Oltre a un’intuizione di questo tipo serve cioè anche un ambiente in grado di mantenerla in vita e coltivarla se si vuole realizzare anche l’intuizione tecnologica oltre a quella scientifica: in altri termini portare avanti uno studio rigoroso.
Provate ora a guardarvi intorno, nella stanza in cui vi trovate: lì dove siete stanno accadendo cose che per millenni sono rimaste ignote, nessuno si era accorto che c’erano come ora state facendo voi. Quando leggete queste pagine voi vedete le parole scritte ma non vi accorgete della luce che parte dalla parola e arriva al vostro occhio. Quando ascoltate una canzone alla radio voi sentite la musica ma non vi accorgete del suono presente nella stanza. Ora pensate a cosa lo studio serio di queste due fenomeni ha portato, l’averne il controllo, il conoscerli fino in fondo invece di sfruttarli così come si presentano in natura e come fanno tutti gli altri esseri viventi: televisione, radio, telecomunicazioni, controllo a distanza, illuminazione artificiale, strumenti di rilevazione come sonar, radar e infiniti altri.
Ora provate a estrapolare il precedente concetto, estenderlo al futuro: potreste convincervi che ora nella stanza in cui vi trovate adesso accadono cose che se solo potessero essere viste o almeno intraviste, poterne anche solo sospettarne l’esistenza, ebbene queste cose potrebbero rivoluzionare tutta la nostra tecnologia attuale. Come una penna che cade a terra può aprire le porte allo studio della gravitazione, così qualcos’altro, sempre lì, vicino a voi, potrebbe indicarci la strada per il teletrasporto, per la fusione a freddo o per l’interazione tra campi magnetici e campi gravitazionali. Aspetta solo di essere visto. Potrebbe addirittura essere ora proprio sotto il tuo naso, o tra i tuoi occhi e queste parole che stai leggendo, come la luce, l’aria, il suono.
E’ più facile vedere una persona nel deserto che immersa in una folla, ed è ancora più facile vederla se si muove piuttosto che se sta ferma.
Non posso chiedervi di diventare quello che non siete, ma la definizione di intelligenza data qui sopra lasciata aperta una strada: intelligenti non solo si nasce, ma lo si può diventare.
Si può venire addestrati e istruiti.
I miei consigli sono dunque questi:
1) Cercare di non dare mai nulla per scontato, sia nel grande ma soprattutto nel piccolo.
2) Se tutti fanno una scelta o fanno una cosa questo non implica necessariamente che sia la migliore: pensate con la vostra testa, la natura ve ne ha data una per farvela usare, non per farla usare da altri.
3) Se una scelta viene scartata da tutti, voi compresi, per il semplice motivo che non l’ha mai scelta nessuno, questo dovrebbe farvi capire che forse proprio per questo nessuno l’ha mai provata. Forse quindi potrebbe nascondere un qualche vantaggio che nessuno ha mai conosciuto. E questo a causa di 1).
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