«Dal Cern di Ginevra al Gran Sasso in appena 2,5 millisecondi»
12/9/2006 di Gabriele Beccaria
Se la particella che si chiama neutrino è una sfida appassionante per gli scienziati, per chi non ha preso almeno una laurea in fisica a pieni voti è un enigma avvolto in un mistero. Eppure una cosa si è capita, ieri, ai Laboratori del Gran Sasso: l’invisibile neutrino e le sue incredibili metamorfosi giocano un ruolo nell’evoluzione dell’Universo, dal Big Bang fino alla sua fase attuale, dove la materia di cui siamo costituiti domina assoluta sull’antimateria. Un fascio di neutrini è stato sparato dal Cern di Ginevra - il megacentro dove si producono le impalpabili particelle - e in 2,5 millisecondi ha percorso 730 chilometri nel sottosuolo, schiantandosi in un altro centro-bunker, il Gran Sasso, appunto.
«Abbiamo salutato la fine della fase preparatoria e l’inizio dei test: la “consegna” vera e propria comincerà l’anno prossimo», spiega Roberto Petronzio, presidente dell’Infn, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che gestisce lo storico evento. Poi migliaia di fisici vivranno la loro strana avventura, sepolti sottoterra, davanti ai computer, tra macchine pesanti anche migliaia di tonnellate, negli unici ambienti protetti dove si può studiare indisturbati l’inizio e la fine di tutto.
Professore, come avverranno gli esperimenti?
«Sempre scagliando i neutrini da un tunnel che attraversa in linea retta il sottosuolo per circa 2 km: parte dal Cern ed è puntato sul Gran Sasso. Si propagano senza ostacoli apprezzabili, tanto che, moltiplicato il diametro terrestre per 40 volte, si può osservare al più una sola interazione».
Che cosa avviene durante il viaggio?
«Quella che chiamiamo l’oscillazione: sono di un tipo quando cominciano la corsa e di un altro quando la finiscono, perché si trasformano in una delle tre famiglie: gli elettronici, i muonici e i tau».
Come fate a produrli?
«Con i super-acceleratori. Estraggono altre particelle - i protoni - e le inviano su un bersaglio di carbonio, che a sua volta genera particelle secondarie e instabili, i pioni e i kaoni: queste vengono poi focalizzate in un fascio collimato e inviate in un tunnel dove decadono in muoni e in neutrini».
E al Gran Sasso che cosa accade?
«Qui abbiamo installato un enorme apparato, chiamato “Opera”, che offre la materia su cui i neutrini possono interagire e rivelarsi: le lastre fotografiche con emulsione nucleare, infatti, trattengono le tracce delle interazioni che caratterizzano la specie in cui sono trasmutati i neutrini lanciati originariamente dal Cern. Avremo così la prova definitiva di questo fenomeno fondamentale. Finora veniva dedotto dai test dove si misurava la scomparsa di alcune delle particelle presenti nel fascio alla sua produzione. Stavolta lo vedremo. Successivamente, un secondo esperimento, “Icarus”, di 600 tonnellate, contribuirà a determinare le proprietà dei neutrini».
Perché l’«oscillazione» è così fondamentale?
«Perché all’interno di questi passaggi da una famiglia all’altra si celano i parametri che permettono di spiegare l’originaria simmetria tra materia e antimateria e le condizioni attuali dell’Universo: oggi il cosmo è in una condizione diversa da quella iniziale - nella quale materia e antimateria erano egualmente abbondanti - e a determinarla potrebbero contribuire proprio le interazioni tra neutrini. Inoltre, la maggior parte del cosmo - forse l’85% - è composto da materia ed energia oscura, di cui non conosciamo la natura, e, secondo alcune teorie, nuove specie di neutrini potrebbero essere candidate per la materia oscura, alla quale è legata l’espansione dell’Universo stesso».
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